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A Colazione con….. Federico Diomeda – IC&Partners
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A Colazione con….. Federico Diomeda

Nel giorno della liberazione d’Italia mi sono svegliato immaginando (come il famoso sogno di Martin Luther King) che l’Italia sia finalmente in grado di liberarsi dalla mediocrità in cui è caduta da molto tempo ormai, e che per fare questo abbia finalmente deciso di mutuare a livello di finanza pubblica (l’ambiente che misura nel suo complesso lo stato di salute della nostra comunità) i principi di risanamento che sono comunemente adottati nell’ambito delle strategie di uscita dalle crisi di impresa.

Devo premettere che spesso in occasione di discussioni e dibattiti mi è capitato di ricevere l’obiezione che siccome lo Stato non è una impresa non si può affrontare il tema del risanamento della finanza pubblica con i medesimi criteri delle imprese private. Siccome infatti il risanamento di impresa comporta quasi sempre scelte dolorose in termini di riallocazione dei fattori produttivi (includendo per esempio la diminuzione della forza lavoro) e lo scarico (concordatario o contrattuale) di parte del debito con relative perdite a carico dei creditori dell’impresa, si obietta che lo Stato in quanto portatore di interessi sociali non può adottare medesimi criteri di risanamento nel senso che non deve creare danno (ulteriore?) alla collettività. Naturalmente chi obietta in tal modo non è in grado di dire quali alternative di risanamento abbia lo Stato (se non forse indebitarsi ancora di più).

A mio avviso i criteri di risanamento delle imprese private (oggi codificati in Principi di redazione dei Piani di risanamento insieme ai Principi di Attestazione dei Piani di Risanamento –documenti entrambi approvati dalla Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti) contengono tutti gli elementi necessari al risanamento della finanza pubblica e non confliggono in alcun modo con il perseguimento degli interessi sociali che lo Stato deve perseguire – essi, in buona sostanza, se applicati non generano rischi di “macelleria sociale”, anzi prevengono che il perdurare della crisi (che è già fonte di macelleria sociale) causi danni ulteriori.

Vale la pena di ricordare infatti che nell’ambito della gestione della crisi di impresa, l’evoluzione legislativa si è snodata ormai da tempo nel senso di prevenire la percezione della crisi e facilitare la continuità aziendale e dunque conservando il valore dell’impresa con ciò riducendo il più possibile gli effetti negativi di dispersione del valore all’interno della catena produttiva nazionale. I passi legislativi più importanti furono la introduzione dei piani attestati di risanamento, del concordato preventivo in continuità, dell’accordo di ristrutturazione dei debiti fino ad arrivare oggi alla riforma del Codice della Crisi e della Insolvenza con la introduzione delle procedure di allerta e i meccanismi strutturali e aziendali di misurazione della perdita della continuità aziendale.

Tutti questi meccanismi sono corredati sia dal lato imprenditore sia dal lato del professionista attestatore da provvidenze premiali o sanzionatorie anche di carattere penale. Il legislatore ha voluto alzare il livello di consapevolezza e responsabilizzazione degli attori della crisi, ciascuno per quanto di competenza.

Anche per questo motivo la professione ha approvato i Principi di redazione dei Piani di risanamento e quelli di Attestazione per consentire l’adozione di regole comuni e linee guida di alta professionalità.

Non è ora il momento di fare una lezione sui predetti Principi ma vale la pena di ricordare le assonanze fra crisi di impresa e crisi della finanza pubblica per rilevare immediatamente che i rimedi debbono essere necessariamente gli stessi e, se ciò è vero, anche i criteri debbono essere gli stessi.

In ciascuna crisi di impresa vi è crisi di business che si riflette in carenza finanziaria (non per niente il Codice della Crisi definisce la crisi di impresa come la insufficienza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni programmate).  Cosa è la crisi di finanza pubblica se non la insufficienza dei flussi di cassa pubblici a far fronte agli impegni dello Stato?

In ciascuna crisi di impresa le conseguenze finanziarie derivano da carenza di modelli di business in cui i ricavi non sono performanti e i costi non sono adeguati o peggio fuori controllo. Esattamente quello che succede in finanza pubblica dove le entrate dello stato, se insufficienti, sono lo specchio della crisi del sistema economico e le uscite, se eccedenti, sono lo specchio di spreco di risorse (non bisogna dimenticare che lo stato nella sua forma di democrazia liberale intermedia risorse private in entrata e uscita – quindi se spreca butta via risorse create dai singoli).

A ciò si aggiunga che sia nella crisi di impresa sia nella crisi di finanza pubblica è presente un eccesso di indebitamento con relativi oneri finanziari. Il peso degli oneri finanziari è sempre una variabile rilevante. La non sostenibilità dell’indebitamento porta all’insolvenza ed al fallimento.

Le imprese falliscono –anche gli Stati falliscono ovvero si dice “vanno in default”. I motivi sono gli stessi.

Nel risanamento di impresa si debbono individuare le cause della crisi con una apposita diagnosi (che va descritta nel Piano) e si debbono adottare le misure di rimozione della crisi dimostrando che in un arco di tempo ragionevole l’impresa torni in equilibrio (e l’attestatore del Piano deve attestare appositamente tale fenomeno stando ben attento alle conseguenze penali delle false attestazioni). Se il Piano regge è possibile trovare “nuova finanza” la quale è difesa con specifiche norme dalla revocatoria in caso di fallimento proprio per consentire ai finanziatori di erogare senza rischi (ovvero con rischi ordinari di concessione del credito).

Come è intuitivo non vi è alcuna differenza in caso di risanamento della finanza pubblica – anzi vi è una differenza sostanziale e migliorativa: mentre per le imprese private l’arco di Piano deve essere necessariamente breve (5 anni?), nel risanamento della finanza pubblica l’arco di Piano può essere molto più lungo (si consideri ad esempio la regola del rientro dei deficit pubblici entro il limite del 60% del PIL adottata al tempo della nascita dell’Euro) proprio perché da un lato lo Stato è considerato una entità duratura, dall’altro gli impatti del risanamento non possono essere scaricati sulla collettività senza considerare effetti di ritorno.

Infine nel risanamento della finanza pubblica né chi redige il Piano né chi lo attesta è gravato da responsabilità civile o penale personale e lo Stato nemmeno deve applicare le procedure di allerta e nemmeno è obbligato alla misurazione della continuità aziendale attrezzandosi con idoneo assetto organizzativo.

Quindi una volta accertato (e nessuno credo lo possa negare) che la crisi di impresa e la crisi di Stato sono concetti economico finanziari perfettamente sovrapponibili, una volta accertato che i rimedi non possono che essere gli stessi (diagnosi delle cause – rimozione delle cause – piano sostenibile ed attestato – nuova finanza), una volta accertato che il Piano della finanza pubblica gode del beneficio di un termine lunghissimo, del beneficio della “forza dello Stato” come entità sovraindividuale e della assenza di responsabilità civili e penali, perché si dice che i criteri di risanamento delle imprese private non possono essere facilmente applicabili al risanamento della finanza pubblica?

La conclusione è dunque puramente politica.

La attuali discussioni a causa della emergenza sanitaria che stanno amplificando i problemi di finanza pubblica e coinvolgono l’Europa ed i suoi meccanismi di sostegno finanziario sono lo specchio perfetto del contenuto di queste poche pagine: lo Stato Italiano deve negoziare sia al suo interno sia all’esterno la credibilità del proprio Piano di risanamento ed ha difficoltà enormi proprio perché:

  • Nessuno ha redatto secondo corretti principi un Piano di risanamento – nessuno ha parlato di individuazione delle cause della crisi e della loro rimozione – nessuno ha attestato il Piano di risanamento – la nuova finanza ha difficoltà ad arrivare pur nel lungo termine perché non vi è credibilità di sostenibilità.

Alle imprese private nessuno regala nulla e chi rischia paga.

Ci stiamo accorgendo che succede così anche allo Stato: nessuno regala nulla e senza un Piano credibile si rischia di andare a bagno – e chi va a bagno sono i cittadini (per primi quelli più deboli) che non hanno alcun potere sanzionatorio né civile né penale salvo il voto politico che ormai da anni non solo non spaventa più la classe politica ma addirittura ha creato un fenomeno prociclico per cui più è grande la crisi meno si fa per il suo risanamento.

La vera battaglia quindi è l’innalzamento della consapevolezza della collettività sui rischi di mancata adozione dei Principi di redazione ad Attestazione dei Piani di risanamento delle imprese private alla finanza pubblica.

Proprio perché si dice che essi non siano applicabili si perpetua il sistema attuale di rimandare all’infinito la rimozione delle cause della crisi – è quindi vero esattamente l’incontrario: senza adozione dei Principi lo Stato è giustificato a perpetuare la propria crisi lasciando ai cittadini inconsapevoli la sola sanzione politica che, come vediamo, non serve a nulla!

……ora il sogno è finito……. Buona giornata!

Fonte: Federico Diomeda, Dottore Commercialista in Genova, news@icpartners.it

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