A Colazione con….. Lucio Maria Brunozzi
MISURE ANTIDUMPING UE E HARD BREXIT |
I) L’export italiano verso il Regno Unito nel 2019 è stato di circa 25 miliardi di euro (10 Md. nel primo semestre 2020) ed è il quinto mercato di destinazione del ns. export (Germania 58 Md., Francia 49 Md., USA 42 Md., Spagna 24 Md.). Il Regno Unito nell’interscambio con la UE di oltre 500 Md. , viene subito dopo gli USA con 616 Md. di euro e Cina per 560 Md. di euro, gli altri due major player del commercio
L’Accordo di recesso dalla UE del Regno Unito è entrato in vigore il 1° febbraio 2020 e da tale data il Regno Unito è divenuto paese terzo. Allo scadere del prossimo 31 dicembre , terminato il periodo di transizione, il Regno Unito con l’uscita dall’Unione Doganale e dal Mercato Unico non rimarrà più vincolato alla politica antidumping della UE e sarebbe soggetto a dazi e a dazi antidumping. Tale data tra l’altro comporta la fine degli obblighi finanziari del Regno Unito per la partecipazione alla UE.
Nel linguaggio economico il termine dumping indica la pratica in cui il prezzo richiesto da un’impresa per i suoi beni in un mercato estero é inferiore o al prezzo che il produttore di quel bene applica nel mercato domestico d’origine oppure al costo di produzione (dumping di “prezzo” o “dumping di “costo”).
Si tratta di una forma di concorrenza sleale avverso la quale la regolamentazione GATT/WTO consente varie misure difensive e in specie i dazi antidumping , con i quali viene riequilibrato il c.d. margine di dumping cioè la differenza tra prezzo utilizzato nelle normali operazioni commerciali nel Paese di esportazione (valore normale) e prezzo dumping .
L’UE è uno dei 164 Membri della WTO – World Trade Organization che dal 1995 è succeduta all’accordo tariffario GATT del 1947 per liberalizzare il commercio internazionale in base al principio della “nazione più favorita”. La politica commerciale è di competenza dell’UE , rappresentata nella WTO non dagli Stati membri ma dalla Commissione e quindi è in quella sede che vengono affrontate questioni di dumping.
Secondo la Corte di Giustizia Europea (parere 1/94) l’Accordo WTO costituisce un Accordo misto a cui partecipano contemporaneamente la UE e i Paesi membri, ognuno nelle materie di competenza.
II) Con il distacco dalla UE la circolazione delle merci tra Regno Unito e UE diverrà commercio con un paese terzo su cui applicare le tariffe esterne sulle merci importate. La Commissione UE non condurrà più indagini antidumping per conto U.K.
In assenza di Accordo dal prossimo gennaio le relazioni commerciali UK-UE saranno quindi regolate dalle norme WTO, secondo la clausola della “nazione più favorita” (MFN).
Le misure antidumping fanno eccezione a tale clausola e sono soggette quindi come tali a rigorosi requisiti. Poiché si sono ridotte le dimensioni del mercato rilevante (da 28 a 27 paesi) e sono mutate le circostanze (cioè la divisione del mercato già a 28),sia UE che U.K., in quanto membri della WTO, dovrebbero rivedere e adeguare le misure antidumping ai sensi dell’art. VI del GATT e dell’Accordo Antidumping.
Il Regno Unito nel giugno 2016 ha istituito , in funzione post-Brexit, il DIT – Department for International Trade e il TRA – Trade Remedies Authority per il supporto al Segretario Generale per il Commercio Internazionale nelle misure di difesa commerciale e con competenze in tema di dumping.
Le misure antidumping della UE in vigore alla fine del 2019 erano oltre cento . Una indagine del Dipartimento del Commercio U.K ., a seguito di consultazione del 2018 tra le imprese, ne ha individuate almeno un terzo che potrebbero essere mantenute e altre 60 circa che verrebbero comunque revocate.
Si tratta di misure relative per l’80 % a importazioni da Cina, poi Russia, Giappone,Corea,Brasile ma anche da Stati Uniti, relative a alluminio, acciaio, ferro, ceramica, vetro, biodiesel.
Anche per motivi di costo è stato già deciso che in ogni caso i dazi anti dumping verranno mantenuti solo quando le imprese britanniche producono una quota di mercato superiore all’1% di quei prodotti che sono venduti in UK.
III) Cosa avverrà per le misure antidumping del Regno Unito in caso di no-deal exit ?
Con la hard Brexit sia la UE che il Regno Unito applicherebbero le tariffe esterne alle importazioni. Secondo stime il no-deal exit significherebbe per l’Italia nel 2021 un 12% in meno di prodotti esportati e una contrazione di oltre il 27% sull’export di beni di investimento.
Se da parte britannica si vorranno introdurre nuove misure antidumping si dovrà operare secondo le regole WTO e non si potrà semplicemente recepire misure UE, ma si dovranno condurre proprie indagini per i sospetti casi di dumping e la Trade Remedies Authority dovrà accertare la loro idoneità per il mercato inglese in base alle condizioni di cui all’art. VI del GATT e dell’Accordo Antidumping, dato che comunque U.K. è membro della WTO e tale , allo stato, rimarrà.
Possibili scenari :
a)rimane valido in base all’art. 1 del GATT il principio della Nazione più favorita e quindi UE e U.K. potrebbero esportare alcuni prodotti senza dazi.
Gli analisti inglesi hanno calcolato che un terzo dell’export vs. la UE rimarrebbe non gravato da dazi. Soprattutto combustibili,chimici e farmaceutici.
b)d’altra parte in base all’art 24 del GATT, sempre per eccezione al principio anzidetto , é possibile arrivare ad un accordo di libero scambio (TFA –Trade Frame Agreement) e in tal caso sia UE che U.K. potrebbero applicare tariffe zero .
c)l’art. 24 lascia anche la possibilità di arrivare ad un accordo di libero scambio passando attraverso un accordo provvisorio (interim agreement) con una graduale eliminazione delle tariffe.
Provvisorietà che come “ragionevole lasso di tempo” teoricamente può arrivare a 10 anni.
Come possibile intesa di partenariato Londra guarda all’Accordo di nuova generazione CETA tra UE e Canada (ratificato in UK), che può rappresentare un punto di richiamo anche per il profilo della provvisorietà, in atto da oltre tre anni in attesa della ratifica di tutti i firmatari (Italia inclusa).
IV) Sulla conclusione di un accordo di libero scambio sono note le difficoltà esistenti e sembra prevalere finora l’ipotesi del no-deal exit, malgrado qualche progresso nei negoziati di questi ultimi giorni avvicinandosi la dead line del 3 novembre p.v.
Tra i principali punti di divisione :
-struttura dell’Accordo che la UE vorrebbe unico, cioè omnicomprensivo, mentre Londra vorrebbe segmentarlo, affiancandolo con una serie di intese settoriali;
-l’UE richiede che nell’accordo ci sia il riconoscimento giuridico di regole per una concorrenza equa ( Il c.d. level playing field) specie per i servizi finanziari;
-la disciplina dei diritti di pesca, che la UE vorrebbe inseriti nell’Accordo complessivo, mentre da parte UK si ritiene che debbano essere regolati con una revisione annuale per l’accesso reciproco alle acque di pesca territoriali .
La revisione annuale è stata infatti prevista nell’accordo pesca (Fisheries Framework Agreement) che a ottobre il Regno Unito ha concluso con la Norvegia.
Alcuni commentatori hanno ventilato l’ipotesi che nelle trattative Londra possa attualmente essere influenzata anche dall’attesa sull’esito delle elezioni negli Stati Uniti e quindi dal cambiamento o conferma dell’Amministrazione in carica.
In realtà finora i punti da tempo in discussione con l‘UE appaiono non strettamente correlati a tale ipotesi, pur se la stessa avesse una qualche valenza sul piano geopolitico.
Comunque pur in caso di esiti positivi delle trattative la tempistica fa ritenere difficile che una piena operatività dell’eventuale accordo possa conseguirsi fin dall’inizio del prossimo anno. A tal proposito va infatti ricordato che in UE, in base al TFUE, gli accordi in materia di politica commerciale vanno deliberati a maggioranza qualificata.
V) Nel frattempo il Regno Unito , attivandosi sul piano bilaterale, oltre all’Accordo pesca con la Norvegia ha concluso un accordo di libero scambio con il Giappone e ha negoziato con l’Ucraina una partnership strategica.
Infine, per quanto attiene alla partecipazione alla WTO va tenuta presente l’esigenza, ormai condivisa da tutti i suoi membri ( Italia e UE inclusi), di una riforma dell’Organizzazione, indipendentemente dalla posizione dell’attuale amministrazione statunitense e dal suo confronto in atto con la RPC.
Fonte: A cura di Lucio Maria Brunozzi tratto dal webinar della Commissione ODCEC sul pricing internazionale, news@icpartners.it – Riproduzione Riservata