EXPORT, ALLA RICERCA DELLA GLOBAL VALUE CHAIN
Da un lato analizzare i mercati e il posizionamento delle nostre imprese, per aiutarle a rafforzarsi. Dall’altro attrarre in Italia i grandi player internazionali. Le proposte di Roberto Corciulo, presidente di IC&Partners
di Riccardo Venturi
LE AZIENDE ITALIANE ESPORTATRICI DEVONO ESSERE MESSE NELLE CONDIZIONI DI RAFFORZARE LA LORO PARTECIPAZIONE ALLE CATENE GLOBALI DEL VALORE.
Cioè di quei processi organizzativi del lavoro nei quali le singole fasi della filiera produttiva vengono svolte in diversi Paesi, in base a convenienza economica e specializzazione. Così, per esempio, una bicicletta elettrica ha sella e cavalletto italiani, ruote e freni cinesi, display e motore tedeschi, batterie e pedali di Taiwan, cambio giapponese, e così via. Ne parla in questa intervista Roberto Corciulo, partner e presidente di IC&Partners, società di consulenza per l’internazionalizzazione che opera da anni accanto alle imprese supportandone il processo di ingresso e di sviluppo sui mercati esteri. Che avvisa: basta con i contributi a pioggia, è ora di costruire una politica di sostegno all’export che abbia una prospettiva.
Corciulo, quali sono i vantaggi delle catene globali del valore?
L’iperspecializzazione e i rapporti tra imprese promuovono una produzione efficiente e la diffusione della tecnologia, così come l’accesso al capitale. Le catene del valore offrono lavori più produttivi, principalmente grazie agli effetti di scala che derivano dall’aumento di produzione, occupazione e riduzione della povertà.
Il modo in cui i Paesi partecipano alle catene globali del valore ha dunque un impatto importante sul loro sviluppo.
Ci sono anche degli aspetti negativi?
I guadagni derivanti dalla partecipazione alle catene globali del valore non sono distribuiti equamente, né tra i Paesi né all’interno degli stessi. Inoltre la loro espansione ha amplificato le sfide che il sistema fiscale internazionale deve affrontare.
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Fonte: EconomyMag, news@icpartners.it – riproduzione riservata