A Colazione con…. Lucio M. Brunozzi
La Cina ha abbandonato il ricorso alla WTO per lo status MES (Paese ad economia di mercato).
L’11 dicembre 2001, dopo un’attesa di 15 anni, la RPC fu ammessa come Membro alla WTO- World Trade Organization con il limitato status di paese NMES (Non Market Economy). Il corposo Protocollo di adesione prevedeva un periodo di sperimentazione di 15 anni, scaduto il quale al Paese si sarebbe potuto riconoscere lo status MES ( Market Economy Status), con la conseguente caduta dei dazi sui prodotti cinesi.
Nel tempo è apparso evidente, sia nell’UE che negli USA, che per l’ammissione non furono adeguatamente considerate la peculiari caratteristiche dell’economia cinese. Il Ministro Tremonti fu all’epoca l’unico politico occidentale a mettere in guardia sui pericoli derivanti dall’ammissione.
Il Consiglio UE per poter disporre di regole che ponessero le imprese europee al riparo del dumping cinese emanò nel novembre 2009 il Regolamento 1225/2009, con il quale venivano fissati cinque criteri indispensabili per verificare l’osservanza dei parametri di economia di mercato. Veniva introdotta anche una nuova metodologia per calcolare i margini di dumping delle importazioni da Paesi terzi in presenza di modelli economici guidati dallo Stato (Cina) . L’UE è stato il primo partner commerciale negli ultimi 12 anni.
Allo scadere dei 15 anni il Parlamento Europeo nel maggio 2016, giudicando che fosse stato rispettato solo uno dei parametri necessari (assenza di interventi statali nelle privatizzazioni), rinviava le relative procedure e negava il riconoscimento MES.
Il Governo cinese ritenendo, in base all’interpretazione dell’art. 15 del Protocollo di adesione, che lo status MES dovesse essere automatico alla scadenza del quindicennio e adducendo al riguardo il riconoscimento già ottenuto da un gran numero di Paesi (130 al 2013) , contestava come unilaterale la fissazione dei cinque criteri UE, in quanto non rispondenti alle caratteristiche cinesi dello sviluppo dell’ economia. Avviava quindi la relativa controversia davanti alla WTO, accusando i membri dell’Organizzazione di protezionismo e di non rispettare gli impegni internazionali assunti nel Protocollo .
In ambito WTO la risoluzione delle controversie tra i Paesi membri si articola in un meccanismo complesso: è demandata al Dispute Settlement Body (DSB), organo collegiale composto dai rappresentanti di ciascun Stato Membro, che dispone la costituzione di un apposito Panel di giudici, il cui Rapporto finale è adottato dal Consiglio Generale quale organo di risoluzione della controversia. E’ consentito allo Stato soccombente ricorrere all’Appellate Body, organo permanente a tanto deputato.
Vige il principio un Paese un voto. Ogni membro dispone nell’ambito del DSB del potere di veto quando si tratta di nominare o confermare un componente dell’Appelate Body.
Le preoccupazioni per la gestione WTO , iniziate sotto la presidenza di George W.Bush, riemerse con Barack Obama , sono state stressate soprattutto con l’amministrazione Trump. Il Presidente Trump e il Rappresentante commerciale presso la WTO, Robert Lighthizer, hanno sempre sostenuto che l’Organismo limita la capacità di Washington di contrastare le pratiche commerciali sleali da parte della Cina e di altri paesi. Sulla stessa linea di Trump il Presidente Conte il 31 gennaio scorso, nel suo intervento per il centenario della Confagricoltura, confermava che è impensabile avere all’interno della WTO un paese quale è oggi la Cina , che è entrato come paese emergente e continua ad avere lo stesso status di emergente.
Le contestazioni statunitensi si sono tradotte nel reiterato mancato consenso alle nuove nomine e alle riconferme dell’Appellate Body, operando, in particolare dal 2016, un costante ostruzionismo che ha portato progressivamente alla paralisi e al congelamento dell’Organo di appello, perchè dal dicembre 2019 a causa dei mancati rinnovi è rimasto in carica un solo componente anziché il minimo di tre.
Indubbiamente la perdita della capacità di giudicare nelle controversie commerciali (oltre 350 dal 1995, appellate per il 68%) mette in forse il futuro stesso del’Organizzazione.
Inopinatamente, dopo quattro anni la controversia introdotta dal Governo cinese per lo status MES è cessata senza pronunciamenti ufficiali, perché il Governo stesso, prima della decisione ufficiale, a sorpresa si è ritirato lasciando scadere il 15 giugno scorso i termini procedurali del ricorso alla WTO e ha così di fatto rinunciato all’azione per il riconoscimento di “paese ad economia di mercato”.
Le ragioni di tale decisione possono essere più di una.
– Pechino era già a conoscenza (v. agenzia di stampa Bloomberg) o comunque consapevole di andare incontro ad una pronuncia completamente sfavorevole della WTO , quindi umiliante per il Paese, per cui memore del passato non volesse subirne lo smacco all’interno e fronteggiare motivazioni negative di fronte all’opinione pubblica mondiale, specie in un periodo in cui il Governo, e Xi in prima -persona, deve già affrontarne la percezione ostile sull’origine della pandemia da Covid-19.
– Il mancato, o quanto meno il ritardato, conseguimento degli obbiettivi, pur simbolici, della “moderata” prosperità programmata entro il 2021 e del promesso raddoppio del PIL pro capite rispetto ai numeri del 2010: infatti, secondo la Banca Mondiale mentre il PIL del Paese sarebbe oggi pari al 19% circa del prodotto mondiale (cioè su totali 80mila miliardi di dollari sec. stime 2017) , la Cina sotto il profilo del PIL pro-capite è ancora un Paese relativamente povero, al 71mo posto nel ranking della Banca Mondiale, con poco più del ctv. di 8.800 dollari contro i 60mila degli Stati Uniti.
– La consapevolezza della profonda crisi della WTO e la prospettiva di poter decisamente intervenire a proprio vantaggio in una riforma della stessa, dimostratasi ormai inevitabile, superando così la questione MES.
– La Cina divenuta, rispetto al 2001, una delle due superpotenze mondiali, con il multilateralismo in crisi può puntare molto di più su accordi regionali, ad es. con l’ASEAN divenuta il primo partner commerciale scalzando UE e USA , o bilaterali (Giappone, Corea).
– L’accentuarsi di problemi interni, come quello demografico , l’aumento dei prezzi al consumo e del tasso di disoccupazione e da ultimo il rapporto di Pechino con Hong Kong e Taiwan.
– La RPC è ora in grado di subire meno le ricadute negative di misure antidumping, specie in ragione dell’attuale maggior orientamento ai consumi interni piuttosto che all’export, come di recente ufficialmente reso pubblico dal Governo con il nuovo modello di sviluppo economico duale della DCS Dual Strategy Circulation, che in definitiva si dovrebbe tradurre nel rendere il Paese meno dipendente dall’estero e sul quale si potrà esprimere una più compiuta valutazione quando il prossimo marzo verrà presentato il nuovo (XIV° ) Piano quinquennale 2021-2025.
Fonte: a cura di Lucio M. Brunozzi, già Vice Presidente ICC Italia – Camera di Commercio Internazionale, news@icpartners.it