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I nuovi dazi su acciaio e alluminio visti dagli Stati Uniti – IC&Partners
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I nuovi dazi su acciaio e alluminio visti dagli Stati Uniti

dazi

È noto come il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump abbia siglato il via libera alle nuove tariffe per l’importazione di alluminio e di acciaio.

 

Sulla stampa mondiale è iniziato immediatamente un acceso dibattito circa la portata del provvedimento, le possibili contromisure e l’impatto prevedibile sulle economie dei Paesi potenzialmente interessati.

 

La stampa americana ha reagito alle nuove disposizioni in modo disomogeneo: la maggior parte delle grandi emittenti televisive è tradizionalmente schierata contro il Presidente, così come gran parte della carta stampata, pertanto le voci di chi contesta la manovra sono le più forti.

 

La maggior parte delle critiche si concentra sulla constatazione che le aziende manifatturiere americane dovranno pur sempre approvvigionarsi di materia prima e che pertanto i costi di produzione saranno più elevati, con evidente ricaduta sui prezzi al dettaglio dei beni.

 

Inoltre, vengono evidenziati i differenti tassi di occupazione nei settori interessati dal provvedimento, come ben si vede nel grafico accanto, dove risulta chiaro come gli addetti del settore metallurgico sarebbero in netta minoranza rispetto – ad esempio – quelli del settore automobilistico (settore ad alto utilizzo di semilavorati in metallo).

 

L’imposizione dei nuovi dazi doganali in entrata (25% sull’acciaio e 10% sull’alluminio) è comunque parzialmente mitigata dalle seguenti considerazioni:

 

  • Sono previsti per le sole materie prime (raw materials) e non anche per semilavorati o pezzi finiti
  • Sono previsti possibili future esenzioni o accordi specifici per i cosiddetti “Paesi amici” commercialmente degli Stati Uniti
  • I Paesi facenti parte dell’accordo NAFTA (Canada e Messico) sono, per ora, esenti dal provvedimento e stanno attivamente lavorando per riformare il trattato.

 

La parte minoritaria della stampa (come il New York Post) è invece favorevole alla politica protezionista di Trump sostenendo che le barriere all’entrata dei metalli favorirebbero il rientro della produzione nei confini nazionali.

 

L’impresa siderurgica americana è oggi al 74% della propria capacità produttiva (fonte: St. Louis Fed.) con impianti obsoleti e con costi di produzione estremamente alti. La manovra vorrebbe forzare la mano agli imprenditori invogliandoli ad investire sulla riqualificazione degli impianti per portare la capacità produttiva al di sopra dell’80% con un recupero netto di competitività rispetto agli altri Paesi. Il processo non sarebbe rapido ma porterebbe, di fatto, ad una diminuzione dei prezzi al consumo e ad un aumento complessivo di posti di lavoro non solo nel settore siderurgico.

Gli americani, inoltre, sono ben consapevoli che la loro tariffa doganale attuale – di fatto – comprende meno voci rispetto a quella di altri Paesi (l’Europa per esempio impone il 10% sulle auto di fabbricazione USA, mentre il dazio americano sulle auto di importazione è di quattro volte inferiore): circa la metà di quelle imposte dalla Cina, un terzo di quelle del Messico e circa un quarto di quelle dell’India.

 

È di questi giorni la notizia che è stato ammesso al dibattimento l’esame di una proposta di legge per imporre un dazio sui soli prodotti forgiati provenienti dalla Cina – è infatti a questo Paese (oltre che a Brasile, Corea del Sud, Russia e Turchia) che di fatto gli americani vorrebbero destinare il provvedimento.

 

Il panorama è pertanto ad oggi ancora piuttosto confuso e sembra ancora presto per poter trarre conclusioni; ma indubbiamente la manovra è riuscita a focalizzare l’interesse di tutto il mondo e a portare al tavolo delle trattative degli USA tutti i Paesi ed in primo luogo l’Europa.