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Un nuovo piano per i Balcani occidentali per l’allargamento dell’UE – IC&Partners
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Un nuovo piano per i Balcani occidentali per l’allargamento dell’UE

Nell’ultima settimana, Ursula Von Der Leyen ha attraversato i Balcani occidentali facendo tappa a Skopje, Pristina, Podgorica, Belgrado, per chiudere a Sarajevo il primo novembre. In quella data, la Presidente della Commissione Europea ha annunciato un nuovo piano di sviluppo per quell’area che, oltre ai paesi visitati – Macedonia del Nord, Kosovo, Montenegro, Serbia e Bosnia ed Erzegovina – comprende Albania e Kosovo. Il Piano verrà presentato nei dettagli mercoledì 8 novembre ma sappiamo che prevede misure per favorire l’integrazione regionale e con i mercati dell’UE nonché 6 miliardi di euro di investimenti secondo il principio adottato per il Recovery and Resilience Facility – tradottosi in Italia nel Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (PNRR) – ovvero approvando investimenti legati all’adozione di riforme.

Questo piano per i Balcani occidentali si inserisce nel rinnovato interesse per l’allargamento dell’Unione Europea (UE). Se da un lato è importante per l’UE crescere per garantirsi una dimensione adeguata e non restare schiacciata tra Stati Uniti e Cina in una post-globalizzazione divisa da logiche di friend-shoring, dall’altro bisogna considerare i costi di questa espansione. L’ingresso degli otto paesi attualmente candidati all’adesione porrebbe l’UE di fronte ad alcuni problemi già incontrati tra il 2004 e il 2007 quando si era passati da 15 a 27 membri: troppi paesi rischiano di paralizzare un processo decisionale ancora condizionato dall’unanimità in alcuni ambiti chiave e un elevato divario di ricchezza richiederà una maggiore solidarietà con il bilancio UE dato che la sua spesa più significativa è costituita da sussidi all’agricoltura e ai territori più poveri.

Se poniamo pari a 100 il Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite in parità di potere d’acquisto (PPA) dell’UE27, vediamo come i paesi riportati siano cresciuti in termini di ricchezza media negli ultimi anni. Tuttavia, restando lontani dalla PIL medio dell’UE, questi paesi risulterebbero beneficiari netti del bilancio UE una volta membri.

 

Degli otto paesi attualmente candidati all’ingresso nell’UE, quattro – Albania, Montenegro, Macedonia del Nord e Serbia – stanno procedendo con i negoziati di adesione, ovvero stanno adottando internamente il diritto dell’UE e stanno attuando le necessarie riforme in ambito giudiziario, amministrativo ed economico. Con la Turchia le negoziazioni si sono sospese nel 2018 per violazione dei criteri politici (democrazia, stato di diritto e indipendenza del potere giudiziario). Con gli altri tre paesi candidati – Bosnia ed Erzegovina, Moldavia e Ucraina – l’UE potrebbe decidere di aprire i negoziati di adesione nel Consiglio Europeo di Bruxelles del 14 e 15 dicembre in base alle indicazioni che la Commissione Europea pubblicherà l’8 novembre quando presenterà il Piano per i Balcani occidentali.

 

I prossimi passi

Nonostante la volontà dei 27 membri di confermare il loro impegno a dare il benvenuto ai nuovi membri, bisogna ricordare che il percorso di adesione non è immediato in quanto ogni paese candidato potrà finalmente entrare una volta che la sua normativa è allineata a quella dell’UE. Questa attesa servirà agli attuali membri per ‘fare il tagliando’ ad un’UE che già mostra i suoi limiti operativi a 27, figurarsi se si dovesse passare ad oltre 30 membri. Si pensa a ridurre gli ambiti in cui è necessaria l’unanimità passando alla maggioranza qualificata e a facilitare la creazione di cooperazioni rafforzate nelle quali un gruppo di paesi membri può procedere ad una maggiore integrazione (si pensi al caso dell’euro adottato attualmente da 20 dei 27 paesi membri). Sebbene queste riforme aumentino l’efficienza dell’UE, potrebbero incontrare l’opposizione dei paesi più piccoli (che perderebbero il potere di veto garantito dall’unanimità), dei paesi che resterebbero esclusi dalle cooperazioni rafforzate (con paesi percepiti di Serie A e altri di Serie B) nonché dei paesi cosiddetti ‘frugali’ che si vedrebbero aumentare la contribuzione netta al bilancio UE.

Parleremo di Bosnia ed Erzegovina nel l’export talks del 14 novembre, per iscrizioni clicca qui

Fonte: Elaborazioni a cura di Stefano Riela, lecturer presso Università Bocconi e ISPI, news@icpartners.it – riproduzione riservata