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Uno sguardo d’insieme in vista della decisione sulla ratifica del CETA – IC&Partners
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Uno sguardo d’insieme in vista della decisione sulla ratifica del CETA

L’articolo è ospitato su Centro Studi Italia Canada dove è possibile leggere la versione integrale. L’argomento è trattato in Export Talks con focus Canada.

L’Italia e l’Europa sono legate al Canada da rapporti che possono essere considerati “genetici”.

Il Canada, infatti, è stata prima una colonia francese, poi inglese e negli anni a seguire popolata essenzialmente da europei (ai francesi e agli inglesi si sono aggiunti polacchi, tedeschi, russi, irlandesi, italiani, ucraini, scandinavi). Solo negli ultimi 35 anni si è registrata una forte immigrazione proveniente da Paesi asiatici (Cina, India, Pakistan, Corea).

Passato dall’essere una colonia inglese allo status di nazione indipendente (ancorché legata al Regno Unito dal Commonwealth), Canada e Paesi europei hanno quindi da sempre condiviso i valori essenziali di libertà e democrazia.

Per quello che riguarda l’Italia, in Canada è presente una numerosa e influente Comunità Italiana che conta oltre 1.500.000 connazionali. La tipologia e i numeri dell’immigrazione italiana in Canada hanno subito profonde variazioni: da quella, numerosissima, dell’inizio del ventesimo secolo ad una stasi durante gli anni del fascismo per poi crescere prepotentemente nel secondo dopo guerra. Negli ultimi 25 anni l’immigrazione italiana in Canada ha visto protagonisti scienziati, studiosi, professionisti, imprenditori e tecnici al seguito delle aziende investitrici, tutte qualificazioni professionali che, unitamente ai tantissimi italiani che hanno avuto successo in anni veramente difficili e penosi, hanno reso il nostro Paese conosciuto, amato, con una positiva reputazione.

Tali legami, economici, sociali e culturali non potevano che rendere ancora più saldi i rapporti politici: Italia/UE e Canada sono infatti accanto gli uni agli altri in numerose Azioni, Accordi e Intese tra cui si segnalano:

  • Partecipazione al G7/, G20;
  • Partecipazioni congiunte a tutte le missioni militari all’estero (Afghanistan, Iraq, Ucraina per citare le principali);
  • Canada e Italia, già prima dell’APS e del CETA, erano legale da un importante accordo strategico (accordo quadro 1976) e da altrettanto importanti accordi economici e commerciali;
  • L’Italia rappresenta gli interessi del Canada in Iran (2012);
  • L’Italia è membro osservatore del Consiglio Artico anche perché fortemente voluta dal Canada (2013);
  • Il Canada, oltre ad essere membro dell’Agenzia spaziale europea, ha concluso con l’Italia un protocollo d’intesa per cooperare nell’esplorazione e nell’utilizzo dello spazio per scopi pacifici (2021);
  • Canada e UE hanno un’intesa strategica sullo sfruttamento dei minerali critici (2022);
  • Italia e Canada, in applicazione del CETA, hanno concluso un Accordo sulla Mobilità Giovanile e Immigrazione d’Affari (2022).
  • Salvi ulteriori legami di diversa natura come la stretta collaborazione nei settori della ricerca scientifica e in generale nei rapporti, numerosissimi, tra Università Italiane e Canadesi in tutti i campi del sapere.

Agli Accordi, Intese e Collaborazioni sopra elencate, alcune delle quali nate proprio dopo e in conseguenza dell’entrata in vigore del CETA, vanno poi aggiunti anche i nuovi obiettivi che UE e Canada si prefiggono e che sono emersi all’esito del Summit UE -Canada di recente svoltosi a St. John’s dove, oltre a ribadire i principi generali che sono alla base della cooperazione tra le due entità, hanno individuato nuove aree di collaborazione come la creazione di una Green Alliance e il lancio di una digital partnership oltre ad aver  portato a termine le negoziazioni per la partecipazione del Canada aii programmi Horizon.

L’ACCORDO DI PARTERNARIATO STRATEGICO

Nel 2016 UE e Canada hanno sottoscritto due importanti accordi, di carattere strategico l’uno, Accordo di Partenariato Strategico (SPA), e un accordo economico e commerciale l’altro (CETA – Comprehensive Economic and Trade Agreement). Il CETA, quindi rappresenta la parte economica di un Accordo di ben più ampio respiro e portata strategica che è, appunto, l’Accordo di Partenariato Strategico. L’APS, (il precedente accordo è del 1976), intende potenziare, ampliandone le competenze, la cooperazione bilaterale in tutti i settori nei quali si estrinsecano le attività di UE, Italia e Canada: pace e sicurezza internazionale, lotta al terrorismo, cybersecurity, gestione delle crisi, sicurezza marittima, tutela del lavoro, ricerca scientifica, ambiente, energia, sviluppo sostenibile, diritti della persona, gestione dell’Artico e altro.

L’APS e il CETA rappresentano quindi lo strumento più idoneo a creare un ancor più stretto legame tra due realtà che condividono tutti i principi posti alla base delle rispettive società.

In particolare, il momento storico nel quale avviene questa riflessione conferma la bontà dell’iniziativa a suo tempo assunta da Canada e UE. A seguito del conflitto in Ucraina e le gravi tensioni nel Medio Oriente la necessità di avere relazioni certe e durature con Paesi con i quali si condividono da sempre metodi e obiettivi è una assoluta necessità.

Non è un caso che nel recente summit tenuto a St. John’s e in particolare nella EU-Canada Green Alliance, SPA e CETA sono stati richiamati esplicitamente come gli strumenti che rappresentano il presupposto e lo strumento sul quale si basano e saranno consolidati i rapporti tra UE e Canada.

IL CETA

Il CETA nasce da una iniziativa canadese, più precisamente da una intuizione dell’allora Premier del Quebec, M. Charet. Dopo una tiepida accoglienza in Canada, ottenuta l’adesione delle altre Province, iniziarono le negoziazioni che si conclusero dopo circa 7 anni di intense negoziazioni alle quali, in tempi e con modalità diverse, sono stati chiamati a partecipare tutti i soggetti che a vario titolo erano in qualche modo interessati alle materie disciplinate nel trattato.

Il CETA, nella sua versione definitiva, approvato dal Canada e, fino ad oggi ratificato da vari Paesi europei (Austria, Croazia, Rep. Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia, in Francia è stato ratificato solo dall’Assemblea Nazionale) è un accordo globale, non un semplice accordo commerciale che agisce sui dazi doganali: oltre ad aver raggiunto tale obiettivo (i dazi comunque, tra Italia e Canada non erano, in media, così rilevanti), disciplina tutti i settori in cui si articola l’attività economica e commerciale: oltre infatti  alla eliminazione dei dazi, vengono regolati i settori farmaceutico, automotive, proprietà intellettuale, investimenti, appalti, equiparazione delle certificazioni, riconoscimento qualifiche professionali e molti altri, elementi tutti che hanno fatto del CETA un accordo così detto di nuova generazione sul quale si sono poi basati tutti gli altri accordi bilaterali conclusi dalla UE (Giappone, Nuova Zelanda e altri).

A sei anni di distanza dalla sua entrata in vigore, i risultati prodotti dal CETA sia per il Canada sia per la UE, e in particolare per l’Italia, sono, in termini numerici, positivi.

È questo un dato certo e non contestato.

A tale proposito occorre ricordare come il periodo trascorso dall’ entrata in vigore (provvisoria) ad oggi sia stato funestato, a tacer d’altro, dai negativi effetti della pandemia che ha colpito il commercio internazionale ad ogni livello per circa due anni: ciononostante i risultati del CETA, sono caratterizzati da una ampia ed evidente positività.

Altro elemento di cui tenere conto è che, in considerazione della diffidenza, se non aperta ostilità, con la quale è stato accolto l’Accordo, sullo stesso non è stata svolta alcuna azione di divulgazione e valorizzazione per favorirne l’uso da parte degli operatori e, ciononostante, l’Accordo ha prodotto non contestati effetti positivi.

Non è questa la sede per un’analisi settoriale dei dati relativi ai primi sei anni di CETA: quello che vale rilevare è che tutti i settori hanno riscontrato una crescita con numeri diversi, anche a doppia cifra. Il dato globale vede una crescita di oltre il 60% in sei anni, dato non contestato.

Anche chi, sin da prima dell’entrata in vigore dell’Accordo, e anche successivamente, ha manifestato decisa opposizione al CETA, è stato costretto a riconoscere la positività dei risultati raggiunti.

QUESTIONI APERTE

Il dibattito attorno al CETA, malgrado i positivi risultati, comunque, non si è placato. Ancora si discute relativamente agli stessi temi che avevano a suo tempo suscitato fortissime perplessità.

A questo proposito occorre svolgere alcune osservazioni preliminari. Il CETA è entrato in vigore in via provvisoria perché é stato considerato un accordo misto, e come tale necessariamente sottoposto alla ratifica degli Stati membri. Perché misto? Misto perché nell’accordo erano (e sono) previste disposizioni relative a materie che sono fuori dalla competenza diretta della UE, rientrando invece nella competenza dei singoli Stati membri. Si tratta delle norme relative agli Investimenti indiretti (c.d. investimenti di portafoglio), al nuovo sistema per la risoluzione delle controversie tra Stato e investitore e alla possibilità prevista per le aziende di partecipare alle gare di appalto pubblici reciprocamente bandite.

Gli argomenti dei quali molto si è discusso, e tuttora si discute (IG, settore caseario, e altri), si riferiscono quindi a materie che, in realtà, in assenza delle disposizioni sopra citate, sarebbero state, anzi sono, definitivamente in vigore, senza possibilità di essere modificate se non attraverso il complesso sistema di revisione del Trattato.

 

Il voler sottoporre a censura aspetti del Trattato in realtà incontrovertibili e che non hanno dato causa alla natura c.d. mista dell’Accordo appare operazione invero surrettizia.

Ciò detto, le principali questioni tuttora aperte, sulle quali ancora non c’è totale convergenza, riguardano:

  • Identificazioni geografiche
  • Settore caseario
  • Importazioni di grano canadese.
  • Sistema di risoluzione delle controversie.

Un ulteriore riflessione preliminare è necessaria: un Accordo bilaterale (e a maggior ragione per un accordo comprensivo quale è il CETA) nasce all’esito di una complessa negoziazione e quindi rappresenta il raggiungimento di un compromesso nel quale, come è ovvio, si sono dovute fare reciproche concessioni per raggiungere altri obiettivi e questo è un assunto che, appunto, vale sia per la UE sia per il Canada (si è trattato del primo trattato bilaterale c.d. di nuova generazione).

INDICAZIONI GEOGRAFICHE

Il CETA ha consentito il riconoscimento di 41 IG italiane pari a oltre il 90 % del valore delle esportazioni di IG italiane in Canada.

Il fatto che il Canada abbia riconosciuto (e quindi sottoposto a tutela) le IG europee è un grande successo del CETA (dell’esperienza maturata in occasione del CETA ne hanno tratto beneficio anche gli altri Accordi bilaterali successivamente conclusi dalla UE e strutturati sullo schema del CETA tra cui quello concluso con la Nuova Zelanda che peraltro, anch’esso, prevede il riconoscimento di un limitato numero di IG europee).

Il Canada, infatti, adotta un sistema di protezione dei segni di riconoscimento dei prodotti alimentari non basato sulle IG ma sul marchio. Ciò significa che, fino all’entrata in vigore del CETA, se in Canada erano venduti prodotti alimentari identificati con marchi (rgià registrati) in conflitto con IG europee, queste ultime non potevano essere importate (e vendute) in Canada con la loro denominazione (IG) originaria; il prodotto (IG) europeo poteva essere eventualmente venduto con denominazioni generiche e quindi non correttamente identificative del prodotto e della sua qualità, con gravi ripercussioni negative sul prezzo e quindi sulla sua profittevole diffusione.

Nelle negoziazioni che hanno portato alla sottoscrizione del CETA si è raggiunto l’incredibile obiettivo di far accettare alla controparte canadese il sistema dele IG così come strutturato in Europa, con il conseguente riconoscimento, da parte del Canada, di 41 IG italiane, pari, come detto, a oltre il 90 % del valore delle esportazioni di IG italiane in Canada. Prodotti mai esportati in Canada hanno quindi avuto la possibilità di essere esportati, venduti e protetti in Canada con la propria reale denominazione (nell’elenco CETA riservato alle IG canadesi riconosciute nella UE non compare alcuna denominazione e ciò a riprova della estraneità, per il Canada, del sistema delle IG, quanto meno all’epoca della conclusione dell’accordo.

A tale incontestabile successo si è opposto che le IG riconosciute nell’elenco CETA fossero poche (nel numero) rispetto a quelle esistenti in Italia (e nella UE).

A parte la circostanza, sottaciuta o sottovalutata, relativa al fatto che l’elenco CETA può essere aggiornato con inclusione di nuove IG (benché naturalmente trattandosi di una modifica dell’Accordo sconta tempi e procedure complesse), a risolvere la questione è intervenuta la nuova legge canadese sulla Proprietà Intellettuale. Tale normativa ha strutturato, in Canada, un sistema di riconoscimento delle IG non incluse nel CETA basato su una procedura di carattere amministrativo (accessibile on line e dal costo irrilevante) in virtù della quale IG europee, riconosciute nei rispettivi Paesi di origine, ma non incluse nell’elenco CETA, possono essere riconosciute e tutelate in Canada al pari di quelle indicate dal CETA. Ad oggi sono 11 le IG italiane, non incluse nel CETA, che hanno beneficiato di tale opportunità (più di ogni altro Paese europeo) (si tratta dei seguenti prodotti: Prosciutto di Carpegna, Salame Piacentino, Coppa Piacentina, Pancetta Piacentina, Piave, Stelvio/Stilfser, Finocchiona, Piadina Romagnola, Piada Romagnola, Salame Felino, Vermouth di Torino.

È evidente quindi che il riconoscimento delle IG europee in ambito CETA è stato un importante successo per i negoziatori UE, ulteriormente rafforzato dalla possibilità offerta alla IG europee dalla nuova normativa canadese sopra descritta.

SETTORE CASEARIO

Si tratta di un settore molto delicato.

Il Canada e in particolare la Provincia del Quebec hanno un’importante produzione casearia più che sufficiente a soddisfare il fabbisogno nazionale tant’è che prima dell’entrata in vigore del CETA l’importazione di prodotti caseari aveva una forte barriera all’ingresso con la determinazione di quote di importazione piuttosto basse (si tenga conto altresì del fatto che il rapporto tra popolazione canadese ed europea è di 1 a 10).

Il capitolo relativo al settore caseario ha quindi formato oggetto di complesse negoziazioni, all’esito delle quali si è giunti ad un compromesso che se da un lato ha di molto aumentato le quote di importazione (triplicandole), dall’altro ha visto strutturare, in Canada, un articolato sistema di importazione. E’ opportuno rilevare che ognuno ha i suoi problermi: l’aumento delle quote di importazione di prodotti caseari ha creato non pochi problemi al Governo Canadese che è dovuto intervenire riconoscendo agli operatori del settore facilitazioni indirette a sostegno delle produzioni locali).

Con il CETA il quantitativo di prodotti caseari importabili in Canada si è triplicato e di tale aumento l’Italia ne ha ampliamente beneficiato. Il combinato disposto relativo da un lato al riconoscimento delle IG (tra cui molti importanti formaggi, di elevato valore economico) e dall’altro all’aumento delle quote, ha provocato una vera impennata nelle esportazioni di formaggi italiani in Canada. Occorre comunque tenere presente che si tratta pur sempre di prodotti che proprio per l’elevata qualità (e il correlato elevato costo) possono subire effetti negativi anche correlati all’andamento della economia, benché, all’esito dei primi sei anni, i valori delle esportazioni di prodotti caseari italiani in Canada è fortemente cresciuto.

Del resto, e questa è una considerazione che vale per tutti i prodotti, alimentari e non: l’esistenza di un accordo bilaterale non significa di per sé solo che aumentino le vendite. Occorre comunque agire, formando e preparando gli operatori affinché traggano dagli accordi commerciali il massimo vantaggio. Partendo da questo assunto il CETA, malgrado l’ostracismo con il quale è stato accolto e la totale assenza di attività di formazione, ha espresso risultati inimmaginabili.

IMPORTAZIONE DI GRANO CANADESE

Si sostiene che il Canada utilizzerebbe, in agricoltura, sostanze vietate dalla UE ed in particolare si fa esplicito riferimento all’utilizzo di un erbicida (glifosato) nel ciclo della produzione del grano.

L’utilizzo del glifosato in uno o più fasi della produzione del grano è argomento delicato sul quale la UE esercita un costante e attento controllo.

Nel luglio del 2023 l’EFSA ha adottato un parere, di fatto positivo seppure con riserva, per il rinnovo della autorizzazione (per 10 anni) all’uso del glifosato in agricoltura sulla base del quale però non è ancora pervenuta l’approvazione da parte dell’apposito Comitato (Standing Committee on Plants, Animals, Food and Feed). Al momento in cui viene redatto il presente elaborato, l’apposito Comitato non ha, appunto, ancora preso la decisione sull’autorizzazione al rinnovo (o meno) dell’utilizzo del glifosato, pronuncia che, comunque, dovrebbe essere presa entro il 14 dicembre dato che l’autorizzazione scadrà il giorno 15 dicembre.

Quanto sopra a conferma dell’estrema attenzione con la quale la UE monitora il tema che, occorre sottolineare, è a sé stante e solo marginalmente riguarda il CETA.

Se infatti è vero che il grano prodotto in Canada viene, in una determinata fase, trattato con il glifosato (nei limiti di quanto previsto e autorizzato dalla UE), è altrettanto vero che il CETA non impone ai Paesi europei l’acquisto del grano canadese, come peraltro di nessun altro bene, alimentare e non, prodotto in Canada.

A riprova di quanto qui riportato è la circostanza che nel 2017,2018 e 2019 e quindi dopo l’entrata in vigore del CETA, probabilmente anche in conseguenza della intensa pubblicità (negativa) del quale è stato fatto oggetto il grano candese, la sua importazione da parte dell’Italia (storicamente il primo acquirente di grano canadese) si é drasticamente ridotta.

In altre parole, il CETA non è in grado di condizionare gli acquisti dei prodotti canadesi (o europei) che rimangono sottoposti alla legge del mercato. In proposito vale la pena ricordare che la vigente normativa europea in materia di etichettatura (Regolamento UE 1169/2011 e il successivo Regolamento 775/2018) ha introdotto, tra gli altri, l’obbligo della indicazione della provenienza degli ingredienti dei prodotti: ciò, in coincidenza con la pubblicità negativa data al grano canadese, può aver prodotto la contrazione delle importazioni di grano canadese di cui si è fatto poc’anzi menzione.

Non sussistono quindi i rischi da più parti paventati al momento dell’entrata in vigore dell’Accordo, e ancora oggi riproposti, vale a dire che il CETA avrebbe consentito l’ingresso nella UE di prodotti alimentari non in linea con gli standards qualitativi previsti dalla medesima UE.

Nei sei anni di vigenza dell’Accordo nessun prodotto non in linea con le norme UE ha fatto ingresso semplicemente perché la normativa europea non lo consentirebbe.

Può apparire, quella offerta, una risposta semplice ad un argomento volutamente reso complesso ma tant’è, e per la conferma di quanto sostenuto si invita alla lettura dello Strumento Interpretativo Comune, pure oggetto della legge di ratifica, che ne offre chiara dimostrazione agli Art. 1 d) ed e).

SISTEMA DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE STATO-INVESTITORE

Vale la pena ribadire ancora una volta che la scelta di considerare il CETA un accordo misto, con la conseguente necessità di procedere alla sua ratifica da parte degli Stati membri, è dipesa solo dal prevedere, il CETA, oltre alle disposizioni in materia di investimenti indiretti e regole sulla partecipazioni agli appalti pubblici, un nuovo sistema di risoluzione delle controversie tra Stato e Investitore, basato su una Corte Arbitrale con relative regole di composizione e procedurali.

Sul tema degli Investimenti indiretti e sulla partecipazione alle gare di appalto non si sono sollevate critiche (la disciplina appalti del CETA è sostanzialmente identica alla normativa europea sugli appalti): la lettura dello Strumento Interpretativo comune è, anche in questo caso, di per sé solo in grado di sciogliere ogni dubbio sulla legittimità di quanto previsto nel CETA. A tale proposito si fa esplicito richiamo a quanto previsto nel Preambolo (art.1), al reciproco diritto a legiferare (art. 2), alla disciplina sui servizi pubblici (art.4), salvo altri aspetti (previdenza e assicurazioni sociali, (art.5), protezione degli investimenti (art.6), commercio e sviluppo sostenibile (art.7), protezione del lavoro (art. 8) e dell’ambiente (art. 9).

Se il sistema di risoluzione delle controversie (e gli altri due temi) non fosse stato inserito nel CETA, quest’ultimo sarebbe divenuto pienamente operativo nel 2017 e nessuna delle questioni di cui si è trattato supra avrebbero formato oggetto di discussione.

Ciò detto, anche l’argomento in esame deve ritenersi comunque superato.

Nel 2019, su sollecitazione della Vallonia, la Corte di Giustizia europea, in seduta plenaria, ha emesso un Parere (1/17, per sua natura vincolante) con il quale, all’esito di una lunga e articolata motivazione, nella quale la Corte ha ben chiarito e soprattutto definito i limiti di competenza della Corte arbitrale, ha concluso affermando che il sistema di risoluzione delle controversie previsto al Capo VIII del CETA è compatibile con il diritto primario dell’Unione, con ciò chiarendo che il detto sistema non è in grado di alterare il potere giurisdizionale dei singoli Stati né della medesima Unione.

A ciò si aggiunga quanto previsto, sempre nello Strumento Interpretativo Comune dove, all’art.6 d) viene risolto uno dei temi più delicati a suo tempo sollevati, chiarendo che per ricorrere alla Corte Arbitrale ex CETA è richiesto “un effettivo legame economico con le economie del Canada o dell’Unione europea affinché un’impresa benefici dell’accordo e impedisce a società di comodo o di copertura stabilite in Canada o nell’Unione europea da investitori di altri paesi di ricorrere contro il Canada o l’Unione europea e i suoi Stati membri”  (Joint Interpretative Instrument on the Comprehensive Economic and Trade Agreement between Canada and the European Union and its Member States (2017), Official Journal L11, 1 June, p. 4.).

CONCLUSIONI

In conclusione, il CETA, eliminato l’unico, reale ostacolo che poteva opporsi alla piena esecutività (questione relativa alla giurisdizione della Corte Arbitrale), ha ben superato tutti gli esami a cui è stato sottoposto.

Se si considera la pessima pubblicità di cui ha goduto e, soprattutto, la scarsa attenzione che gli è stata attribuita, con la conseguente totale assenza di azioni di promozione, divulgazione e formazione in favore degli operatori, il CETA ha prodotto ottimi risultati.

Il costante monitoraggio di cui il CETA è stato e sarà oggetto da parte delle Commissioni bilaterali, appositamente costituite, garantisce la sua corretta e costante implementazione. Implementazione, si badi bene, non modifica dell’accordo che è cosa ben diversa e più complessa e articolata. Vale la pena di aggiungere a tale considerazione una ulteriore, legata allo status attuale del CETA che condiziona e impedisce, quasi paradossalmente, ogni modifica: l’assenza della ratifica da parte di tutti gli Stati membri impedisce ogni cambiamento. Dal momento che alcuni Stati hanno ratificato e altri no, ciò non consente alle parti, pur volendo, di modificare il CETA, eventualmente integrandolo, disciplinando materie non considerate nella prima stesura dell’Accordo (si pensi ai temi legati all’IA e alle c.d. terre rare, temi di grande attualità e altrettanto notevole rilevanza strategica ed economica).

Il tema delle relazioni economiche e commerciali tra UE e Canada sarà sempre aperto, come lo è in tutti gli accordi bilaterali, perché, come è naturale, ciascuna delle parti, nell’ambito della naturale competizione, cercherà di trarre il massimo profitto dallo strumento posto in essere e di questioni aperte continueranno ad esistere.

Si pensi, da parte canadese, al citato complesso sistema che regola le importazioni di prodotti caseari in Canada, alla nuova normativa canadese in materia di etichettatura (Front Of Pack – FOP – tale nuovo sistema di etichettatura sta provocando non poche polemiche all’interno del Canada acuendo i contrasti tra Autorità e Industria Casearia per le ripercussioni negative che il nuovo sistema di etichettature potrebbe produrre) e,  a monte, le nuove norme in tema di rules of origin così come disciplinate dal USMCA. Da parte europea, il nuovo Regolamento Europeo in materia di etichettatura e,  per quanto riguarda l’Italia, alla nuova normativa “Made in Italy” che a sua volta, per i prodotti agro-alimentari, contiene varie previsioni volte alla miglior tutela di tali prodotti agendo, tra l’altro sulla etichettatura (NutrInform Battery), sulla tracciatura alla fonte, sulla istituzione di un marchio ufficiale anticontraffazione, solo per citare alcune delle previsioni (la normativa “made in Italy” tra l’altro ben potrebbe contrastare il fenomeno dell’”Italian sounding”).

Il futuro nei rapporti tra UE e Canada è appena iniziato. Il Summit di St. John’s ha confermato gli eccellenti rapporti tra UE e Canada, rinnovando il reciproco impegno ad una intensa e sempre più ampia cooperazione.  La rilevanza di tale cooperazione nell’attuale contesto internazionale è evidente, basti pensare che il Canada è tra i giganti dell’energia con la seconda riserva al mondo di petrolio oltre a imponenti giacimenti di Uranio, Rame, Zinco, Piombo, Gas naturale e materiali critici, in prima linea nello studio e utilizzo dell’idrogeno, campione nelle tematiche connesse all’utilizzo della intelligenza artificiale in tutte le sue applicazioni.

Tutti questi elementi dovrebbero indurre tutti e segnatamente il Parlamento italiano, chiamato a decidere sulla ratifica, ad assumere decisioni mature e lungimiranti.

Per gentile concessione dell’Avv. Paolo Quattrocchi riportiamo l’articolo apparso su Centro Studi Italia Canada.

Paolo Quattrocchiavvocato, da 20 anni si occupa di internazionalizzazione delle imprese con focus specifico sul Canada.
Fondatore e Direttore del Centro Studi Italia Canada, si occupa del CETA già da prima della conclusione e sottoscrizione dell’Accordo. Vice Presidente della Camera di Commercio Italiana in Canada Ovest, Presidente di Confassociazioni Canadaautore del libro Canada: Storie, Visioni e Sfide di un laboratorio del futuro.

Fonte: Centro Studi Italia Canada, Avv Paolo Quattrocchi , news@icpartners.it

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