“Amicizie pericolose” per il commercio internazionale
Il World Economic Forum di Davos si è chiuso pochi giorni fa con un avvertimento: le attuali tensioni geopolitiche rischiano di invertire il percorso di globalizzazione. In particolare, il Direttore Generale del World Trade Organization (WTO), la nigeriana Ngozi Okonjo-Iwealaun, ha lanciato un invito per una ri-globalizzazione dell’economia internazionale. Il rischio che stiamo vivendo è nascosto in un concetto apparentemente positivo basato sull’amicizia tra paesi. Un’amicizia costruita su rapporti bilaterali che tuttavia potrebbero frammentare il commercio internazionale finora liberalizzato grazie al multilateralismo del WTO che ha beneficiato un’ampia platea di paesi.
Facciamo un passo indietro. Il 13 aprile scorso, poche settimane dopo l’invasione russa dell’Ucraina, il Segretario del Tesoro statunitense, Janet Yellen, aveva invitato ad un rafforzamento delle relazioni economiche tra paesi ‘amici’. In particolare, il riferimento era al friend-shoring riprendendo il concetto di ally-shoring già proposto nel 2020 secondo il quale gli Stati Uniti dovrebbero stimolare l’integrazione economica tra paesi che rispettano i principi fondamentali della democrazia, della libera espressione e dello stato di diritto.
Il friend-shoring si pone pertanto come via di mezzo tra il re-shoring, per realizzare produzioni ‘critiche’ e ‘strategiche’ sul territorio nazionale, e l’off-shoring che ha caratterizzato la strategia di molte imprese non necessariamente di grandi dimensioni. L’off-shoring guidato dall’efficienza e dal profitto aveva spinto l’estensione geografica delle catene del valore fino a renderle globali. Nel momento in cui il commercio ha smesso di circolare liberamente tra lockdown, restrizioni all’export e sanzioni si è rivelata la debolezza delle catene globalizzate. Ecco quindi che accanto al concetto di efficienza è emerso quello della resilienza richiedendo un ridisegno delle catene del valore guidato non solo da considerazioni economiche ma anche politiche.
Il tema delle ripercussioni delle crisi politiche internazionali sul commercio internazionale era già emerso ben prima della pandemia. La Cina aveva posto il problema data la sua dimensione economica (il secondo paese dopo gli Stati Uniti), la sua proiezione esterna (si pensi dalla Belt and Road Initiative) e la sua politica industriale fortemente sussidiata; un modello non coerente con l’obiettivo di un commercio libero e non distorto promosso dal WTO di cui la Cina è membro dal 2001. Negli Stati Uniti di Donald Trump il tema del decoupling per ridurre la dipendenza dal Dragone di Pechino era all’ordine del giorno, e continua ad esserlo con la Presidenza di Joe Biden il quale, dopo l’invasione della Russia in Ucraina, ha dovuto ampliare la portata dello scontro chiamando a raccolta i paesi amici.
Tuttavia, il rafforzamento delle relazioni economiche tra pochi paesi amici ha i suoi costi. Li sintetizza con chiarezza l’economista indiano Raghuram Rajan secondo cui il friend-shoring proposto dagli Stati Uniti:
- Aumenterebbe i prezzi al consumo in tempi in cui l’inflazione è già al di sopra dei target delle principali banche centrali. Spostando le produzioni dai paesi meno sviluppati a quelli più sviluppati si aumenterebbero i costi e di conseguenza i prezzi.
- Si potrebbe ridurre la resilienza delle produzioni contro eventi imprevisti quali i disastri naturali se il friend-shoring dovesse comportare una maggiore concentrazione geografica delle catene del valore.
- Si ridurrebbero quelle interdipendenze economiche, come per esempio gli investimenti esteri, che dovrebbero ridurre la probabilità di conflitti tra paesi.
- Aumenterebbe l’instabilità globale. I paesi più poveri esclusi dal commercio con i paesi più ricchi avrebbero meno possibilità di svilupparsi e diventare più democratici, rischiando di diventare terreno fertile per la violenza e il terrorismo internazionale.
Dopo questa lista di aspetti negativi, è giusto citare un aspetto positivo del friend-shoring: aumenterebbe la resilienza della catena del valore contro le perturbazioni politiche. Le democrazie liberali, seppur instabili nei governi per effetto di libere elezioni in sistemi pluri-partitici, sono stabili nei loro principi de iure (come quelli costituzionali) e condivisi de facto. Ma nonostante questa stabilità sistemica, le ‘amicizie’ possono essere mutevoli e rapporti consolidati possono interrompersi bruscamente.
Basti pensare al caso dell’Unione Europea (UE) e il Regno Unito con la Brexit, oppure all’intensificazione dei rapporti tra paesi europei e paesi considerati poco democratici, alla stregua di Cina e Russia, per garantire forniture energetiche. E infine, se si pensa al trattamento che gli Stati Uniti hanno riservato all’UE con le restrizioni sui prodotti di acciaio e alluminio e con i sussidi discriminatori dell’Inflation Reduction Act (IRA), probabilmente l’UE non può fare affidamento su una amicizia incondizionata con gli Stati Uniti.
Fonte: Elaborazioni a cura di Stefano Riela, lecturer presso Università Bocconi e ISPI, news@icpartners.it – riproduzione riservata