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Filiere ed Internazionalizzazione il futuro che verrà – IC&Partners
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Filiere ed Internazionalizzazione il futuro che verrà

Il presente documento è stato estratto dalla guida INNOVARE E COMPETERE Contributi dei Consulenti di Management ARCOM dai webinar “PROGETTIAMO IL FUTURO” organizzati con la testata il Friuili

Clicca qui per scaricare la guida completa.

 

FILIERE ED INTERNAZIONALIZZAZIONE IL FUTURO CHE VERRÀ

Il contesto globale ante-pandemia mostrava diverse rivoluzioni in corso a livello economico e geo-politico. Infatti, dal 1980 ad oggi è stato evidenziato un forte cambiamento del potere a livello globale, dove Cina – in primis – India e Giappone hanno in questi anni sempre più contribuito alla produzione del PIL mondiale, a scapito dei Paesi europei, della Russia e, soprattutto, degli Stati Uniti d’America. Altro punto è la quarta rivoluzione industriale attualmente in corso, la cosiddetta “Industria 4.0”, affiancata dall’evoluzione dei consumi, sia a livello delle singole nazioni che a livello mondiale. Si stima che entro il 2035, oltre la metà dei consumi avverranno in Cina e nei Paesi emergenti. Inoltre, si evidenzia che negli ultimi 70 anni le emissioni di CO2 sono aumentate esponenzialmente e adesso ci troviamo a dover affrontare una doppia sfida: supportare la crescita globale, ma, allo stesso tempo, costretti ad adottare un modello più sostenibile dal punto di vista ambientale. In questo contesto, anche la globalizzazione sta profondamente cambiando in ragione delle tensioni commerciali e delle barriere tariffarie tra diversi Paesi. Le nuove tecnologie, l’aumento delle capacità industriali e la crescita della domanda imporranno un ripensamento delle catene del valore, che si stanno sempre più regionalizzando. La globalizzazione ha spinto, a partire dalla metà degli anni ‘80, la creazione di reti produttive frammentate e specializzate sia per costo della manodopera sia per la specializzazione tecnologica. Questo fenomeno viene identificato nelle c.d. Catene Globali del Valore (“CGV”), che sono diventate nel tempo i principali motori dell’economia globale e uno dei fattori principali della crescita del commercio globale. Questo fenomeno ha subito un’accelerazione fino al 2008, anno dell’avvio della crisi finanziaria partita negli Stati Uniti, per poi cominciare a decelerare in modo importante per quanto i dati del commercio globali in valori assoluti siano cresciuti. Questa decelerazione è figlia sia di scelte politiche – ad esempio abbandono da parte degli Stati Uniti del c.d. Unilateralismo – che di una combinazione di effetti economici: ad esempio economie emergenti quali la Cina sono passate dall’essere assemblatori a produttori finali di beni con sviluppo di importante ricerca e sviluppo sulle proprie supply chain interne. Conseguentemente la Cina ha assunto delle posizioni di assoluta leadership in alcuni settori manifatturieri passando dal 4% di output complessivo di beni prodotti da tutte le filiere globali di produzione di beni ad oltre il 20% attuale. Nel tessile, macchine elettriche, vetro, cemento e ceramica, producendo così circa il 50% della produzione mondiale. La crescita delle supply chain in Cina e negli altri mercati emergenti ha diminuito l’intensità del commercio globale. Questo fenomeno permette di creare maggior valore, sviluppando lavoro nelle province interne più povere. 20 Stesso fenomeno viene riscontrato nelle altre economie in via di sviluppo. Al contrario, nella sviluppata Europa (dove la crescita è più bassa) le società hanno continuato ad integrarsi nelle supply chain dell’Europa Occidentale (esempio Italia verso Germania). Il declino nell’intensità commerciale riflette la crescente maturità industriale delle economie emergenti.

Altro fattore importante in questo contesto è il ruolo delle tecnologie che stanno cambiando i costi delle catene globali del valore con un enorme e crescente scambio di dati a livello globale. I bassi costi e la comunicazione digitale istantanea hanno un chiaro effetto:

  • riducono i costi di transazione;
  • velocizzano e aumentano lo scambio di dati.

Piattaforme digitali, tecnologie logistiche ed elaborazione dati ridurranno ancora di più i costi delle transazioni transfrontaliere in futuro e consentiranno ogni tipo di scambio di dati. L’automazione e la produzione additiva stanno cambiando i processi di produzione e l’importanza della loro produzione. I nuovi beni e servizi prodotti dalle nuove tecnologie avranno un grande impatto sul commercio. Va aggiunto che negli ultimi 15 anni si sono sviluppate e conformate macro-aree con accordi di libero scambio che stanno sostituendo la spinta della World Trade Organization. Da ultimo, ricordiamo la firma a novembre 2020 del RCEP in Asia, accordo che vede coinvolti 15 paesi dell’Asia ove l’unico paese a non aderire, per ora, è l’India. La pandemia COVID-19 ha assunto il ruolo di acceleratore naturale dei fenomeni già in atto a livello globale. Le economie europee e degli Stati Uniti sono state colpite molto di più di alcune economie asiatiche, quindi è molto probabile che i capitali finanziari si muoveranno, ad esempio, verso India, Vietnam, Indonesia ed estremo oriente in generale. La pandemia ci sta ponendo, nella sostanza, davanti ad una grande contraddizione: da una parte sta riportando indietro nel tempo le lancette dell’orologio ad un mondo preglobalizzazione ma con scenari geo-politici e geo-economici molto diversi. Dall’altro, sta accelerando, in modo esponenziale, un percorso rispetto alla robotizzazione e alla digitalizzazione del lavoro. Rispetto a questo contesto internazionale riportiamo alcuni dati di contesto nazionale: in Italia ci sono circa 4,4 milioni di imprese; il 95% con meno di 10 dipendenti; il 4,5% tra i 10 ed i 50 dipendenti; ovvero il 99,5% delle imprese sono micro-piccole imprese. Un export di beni che nel 2019 è arrivato a circa 480 miliardi di euro e a circa 100 miliardi di euro di servizi. Un terzo del nostro PIL. Il nostro export è diretto prevalentemente in Europa, per quanto molto export manifatturiero è legato a beni intermedi che vengono assemblati ed esportati fuori Europa.

Siamo agganciati a due (Germania e Stati Uniti) dei tre macro motori dell’export (Cina, Germania e Stati Uniti), abbiamo una bassa propensione agli IDE esteri, dovuti soprattutto alla dimensione media sopra ricordata e purtroppo scarso appeal nell’attrazione di investimenti esteri che potrebbe sopperire alla bassa propensione a investire all’estero. Scontiamo però un atavico problema nella giustizia, nel fisco e nella burocrazia che non rendono il nostro Paese attrattivo e quindi le aziende devono competere sugli scenari globali con armi spuntate. La pandemia ha creato uno shock nella domanda-offerta rompendo le catene di fornitura, ricreando confini, blocchi alla libera circolazione delle persone ed in taluni casi delle merci. Ogni azienda è costretta a guardare al mondo dal proprio angolo visuale e capire quali sono le velocità di ri-avviamento del proprio settore e della filiera nella quale è inserita e capire come riconvertirsi velocemente quando la propria filiera sarà interrotta irreversibilmente. Inoltre, la durata dello stato di emergenza si preannuncia ancora lungo, visti da ultimo anche i problemi nella vaccinazione di massa, per buona parte del 2021. Questo ha già cambiato psicologicamente abitudini di vita, di lavoro, di acquisto in modo irreversibile: esempio le persone saranno più portate ad acquistare prodotti locali adottando modelli autarchici. I canali commerciali di conseguenza – in alcuni casi – si modificheranno anche irreversibilmente e oltre alla naturale crescita del B2C assisteremo ad una crescita del B2B in modo importante e qui troveranno spazio nuovi canali commerciali e di interazione digitale laddove il ritardo tecnologico delle aziende andrà colmato molto velocemente pena la esclusione dal mercato. Le limitazioni alla circolazione delle persone, che si suppone sarà regolamentata per mesi in tutta Europa e fuori Europa, ha portato all’uso degli strumenti digitali di comunicazione e questo andrà a rafforzare a livello globale la crescita di questi strumenti che hanno già segnato anche prima della pandemia una delle poche aree in crescita a livello globale diventando di fatto la cinghia di collegamento del mondo. Quindi, riassumendo, per punti generali e non esaustivi:

  • shock domanda offerta;
  • limitazione circolazione persone e merci;
  • chiusura dei confini da parte degli Stati europei ed extraeuropei;
  • Europa frammentata (27 paesi che hanno preso 27 decisioni differenti);
  • gestione della pandemia bocciata;
  • clima da guerra fredda in crescita tra Stati Uniti e Cina;
  • necessario riposizionamento delle filiere globali del valore;
  • disoccupazione;
  • digitalizzazione.

Troppi elementi e troppe variabili da analizzare contemporaneamente e che oggi per tutte le aziende sono come i tasselli di un grande puzzle, da ricostruire. In questo momento ogni azienda deve svolgere analisi strategiche complesse rispetto al contesto in evoluzione della propria struttura organizzativa e del proprio modello di business. 22 L’area del commercio estero, o dell’internazionalizzazione, richiedono un’attenzione prioritaria in quanto una delle prime domande che un imprenditore deve porsi è: esiste ancora il mio mercato? Se sì, in Italia o all’estero? Se la risposta è positiva, si devono analizzare tutte le variabili presenti e dell’immediato futuro – molti dei dati che stiamo trovando od analizzando fanno riferimento alla crisi del 2008 che derivava da una crisi finanziaria e quindi molto diversa – ed in particolare guardando le stime del Fondo Monetario Internazionale, il mondo vede una decrescita del PIL globale del 3% e in Italia del 10%, uno dei peggiori Paesi ed è normale visto la struttura sociale, demografica e di mercato che non ci vede crescere da 20 anni. Ergo, ci saranno Paesi che cresceranno più velocemente, che saranno in grado di reagire più velocemente e dove i nostri prodotti potrebbero trovare spazio. Dobbiamo lavorare molto in termini di analisi tecniche per identificare questi paesi target ed attivare politiche commerciali ad hoc. Si dovranno velocemente creare reti ed alleanze con aziende del proprio settore e fare investimenti comuni sulle piattaforme commerciali digitali e investire da subito su persone (non sicuramente in eccesso visto il ritardo tecnologico del mostro paese) che guidino questi processi. Si dovranno trovare forme di collaborazione efficienti e non costose che permettano di rispondere il più velocemente possibile. Così come si dovranno attuare necessarie integrazioni aziendali per crescere dimensionalmente e poter gestire gli investimenti per l’adattamento. La velocità di adattamento sarà fondamentale e sarà la chiave di volta in questo contesto nuovo dove procederemo per adattamenti sequenziali. Sta nella resilienza e nella flessibilità delle piccole aziende italiane fare la differenza ma è importante che si superi il paradigma del “facciamo da soli”. In questa breve analisi non ho parlato di Stato e di Europa. Purtroppo, qui le aziende dovranno agire da sole… e non è un commento negativo ma semplicemente una constatazione.

Fonte: Documento estratto dalla guida INNOVARE E COMPETERE Contributi dei Consulenti di Management ARCOM dai webinar “PROGETTIAMO IL FUTURO” organizzati con la testata il Friuili, news@icpartners.it